La telefonata mi arriva che è un caldo pomeriggio di fine giugno.
Capisco subito che si tratta di un’occasione, ancor prima che di un impegno o di una testimonianza. Dall’altra parte, una mia cara e stimata collega mi invitava ad aderire alla campagna #10forsyria. Dieci giornaliste, mi spiegava, dieci volti noti per rafforzare l’invito a sostenere gli aiuti all’emergenza delle popolazioni stremate dalla guerra civile.
Qualcosa, mentre proseguo la telefonata, mi riporta a una serata di poche settimane prima.
Casa di mia suocera, ora di cena. Tra gli ospiti c’è una sua amica siriana, donna elgante e dignitosa. Si chiama Samira, è una professoressa di inglese e da quando in Siria è scoppiata la guerra è una madre in contrasto con i suoi figli: entrambi medici, entrambi trasferiti da tempo all’estero. Uno vive negli Stati Uniti e l’altro in Inghilterra. Tutti e due quotidianamente impegnati nel convincere il padre e la madre a lasciare il loro paese e a trasferirsi. Le opzioni sono due: o oltreoceano o oltremanica. Fa segno di no con la testa, sorride. E’ in Europa, mi spiega, perché – dopo un viaggio che è stato un’odissea – si è concessa una vacanza dal suono delle bombe. A Damasco, inamovibile, ha lasciato il marito. Categorico nel suo rifiuto di muoversi per non lasciare che la casa in cui hanno vissuto una vita e cresciuto i loro figli, venga occupata.
Torno presente al telefono.
Realizzo che in Siria ci sono migliaia di famiglie in fuga dal conflitto che si rifugiano in Libano o in Giordania dopo essersi lasciate alle spalle case distrutte, violenza e spesso parte della famiglia.
Capisco che io, singolarmente, posso fare poco ma qualcosa si può fare.
#10forsyria è una campagna promossa dall’AVSI per rispondere a questa emergenza immensa: fino al 31 agosto si possono donare 10 euro per sostenere le popolazioni rifugiate. E penso ancora che qualcosa di può fare. Ad esempio, donare dieci euro. E riempire una cisterna di 2.000 litri di acqua; e comprare 2 kg di fagioli, 2 di riso, 2 di zucchero e 2 lt di olio; e pagare 1 ora di corso di recupero per un bambino siriano.
Personalmente non aderisco a nessun social, ma aderisco a questa campagna, che invece viene realizzata sui social network Twitter e Facebook con fotografie e aggiornamenti quotidiani e sul sito www.avsi.org attraverso storie e fotogallery bisettimanali.
Tutte le informazioni si trovano seguendo #10forSyria: @FondazioneAVSI, facebook.com/fondazioneavsi
Si dice che il tempo riesca a farci abituare a tutto, ma non sempre è così. I giorni che passano, che si avvicendano isterici nei tempi frenetici della ripartenza non riescono a cacciare, figuriamoci a cancellare, dalla mia memoria i volti dei bambini uccisi in Siria durante l’attacco chimico del 21 agosto promosso dal regime di Assad. L’immagine di quei piccoli corpi avvolti come caramelle in lenzuoli bianchi, avviluppati per pietà a proteggere un sonno senza risveglio, non mi consola solo per il fatto di non vedere sangue e distruzione. La morte silenziosa non è meno crudele solo perché non fa rumore. Se poi riguarda un bambino, è un cristallo che va in frantumi. Per preservare il vasellame prezioso che c’è in ogni popolo e perché non ci siano più vetrine infrante io credo che adesso più che mai che sia giusto sostenere l’Avsi e la sua azione coraggiosa.Soprattutto in questa giornata che vede i cristiani digiunare e chi è laico appellarsi ai principi umanitari. Io rigiro a tutti l’azione dell’Avsi, che proprio oggi ha deciso non solo di aderire all’appello di papa Francesco ma anche di organizzare un momento di preghiera tra cristiani e musulmani in Libano nel campo profughi di Marj el Kok. Intanto, in tre mesi l’Avsi ha raccolto più di 130 mila euro e aiutato oltre 13mila persone. Serve ancora molto, ma soprattutto servono gesti, azioni. Adesso.
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