È un mistero bello e buono. E Matteo vuole vederci chiaro. È arrivato il momento di affrontare il problema.
Succede ogni sera quando va a dormire, dopo che la mamma e il papà gli hanno dato la buona notte.
Ma ecco che appena si muove tra le lenzuola, la cameretta ripiomba in un silenzio scuro…
All’inizio non aveva detto niente a nessuno: si vergognava. Ma adesso è quasi un mese che questa faccenda va avanti.
“Non posso più fare finta di niente”, pensa tra sé, “Devo scoprire questo mistero”.
Matteo fissa la tazza di latte… i cereali diventano sempre più morbidi…
Il fatto è che quella volta che ha provato a raccontarlo ai genitori, loro lo hanno riempito di carezze e coccole. Ma poi li ha sentiti confabulare in cucina: “E’ piccolo, è l’effetto buio. Gli fa ancora paura, è normale”.
E invece no.
Lui non ha proprio per niente paura del buio.
I grandi trovano sempre spiegazione facili.
Che ci vuole a dire che è paura del buio? È una scusa sempre valida.
Ma Matteo lo sa che non è così. Il fatto è che è tutto difficile da dimostrare… perché i rumoretti, le vocine durano poco poco…poi si addormenta e buona notte ai suonatori.
L’ideale sarebbe rimanere svegli e controllare.
Missione compiuta: è riuscito a bere di nascosto quel goccino di caffè che era rimasto nella macchinetta da stamattina…Meno male che i suoi genitori ne fanno sempre un po’ di più di quello che usano…sente il cuore che gli batte forte forte…
E vai con il copione: pigiama, denti, bacetto, le coperte fino al naso…la porta accostata e….vediamo un po’ che cosa succede…
Passa un po’ di tempo. Matteo non sa dire quanto. Ma gli sembra tanto. C’è silenzio. Mamma e papà sono andati in soggiorno. Da lontano si sente solo la televisione.
“CLAC!”
“Che cos’è stato questo rumore?! – Matteo bisbiglia sotto le lenzuola – viene dalla mensola sulla parete della finestra…”
Resta immobile, il naso sotto le coperte. Solo gli occhi restano fuori: per il momento preferisce non aprirli.
Un altro rumore: gli sembra quello del joystick della Play. Possibile?
E poi quella trottola che gli avevano regalato quando aveva sette mesi: era talmente bella che i suoi genitori non l’avevano data via. Stava lì, da anni, sullo scaffale accanto alla finestra. Tanto tempo che non sentiva quel suono….ma era così familiare…da piccolo ci aveva giocato tantissimo…
Apre un occhio.
“Non ci posso credere: come faccio a raccontarlo in giro…mi prenderanno per pazzo…”
L’orsetto vicino alla scrivania si è mosso. Ha alzato un braccio. E adesso sposta anche l’altro.
“Ecco forse adesso un po’ di paura m’è venuta….”
Piano piano Matteo solleva anche l’altra palpebra…
Intanto il robot dello zio Francesco avanza di un passo…
Si avvicina anche l’olandesina e poi quel Pinocchio che avevano comprato in Trentino…anni che era seduto lì: la schiena appoggiata al muro e le gambe divaricate…
“Ho le allucinazioni!”
“Allora: siamo pronti o no? Che cosa stiamo aspettando?” Abbaia il cane di pezza….
“Ci siamo tutti? E’ ora: non possiamo più aspettare”, bofonchia l’orologiaio magico…
“Sono d’accordo”, si fa vivo il brutto anatroccolo
“E allora cominciamo: la parola al gufo di legno!” sentenzia Mangiafuoco…
Matteo ha la gola secca e si bagna continuamente le labbra.
I miei giocattoli! Parlano, si muovono. AIUTO!
Ma non è che sono diventato matto davvero?
Accavalla i piedi uno sull’altro… gli sembra di sentire meno freddo. La coperta li schiaccia, pigia sull’alluce. Ma è un fastidio che può sopportare. Attenzione: parla il gufo di pezza…
“Allora, questa sera siamo riuniti per valutare la proposta di Raniero, il cavalluccio a dondolo. Ricordo che qualsiasi decisione, dovrà essere presa all’unanimità. O comunque, con una maggioranza consistente”.
Poi, volgendo il becco verso la scrivania, e inclinando leggermente la testa, il gufo apostrofa il cavalluccio:
“Raniero, a te la parola”.
“Grazie, gufo. Grazie a tutti”.
Nella stanza adesso è sceso un silenzio assoluto.
Matteo è tutt’orecchi.
“Come sapete – comincia Raniero – io sono uno dei giochi più anziani tra voi”. La voce è debole, quasi non si sente: Matteo deve sforzarsi parecchio per capire bene tutte le parole. Anche perché Raniero vive nascosto da anni. Praticamente sommerso da tutti i giocattoli più recenti. Ormai da un paio d’anni giace sotto alla scrivania e davanti c’è il computer.
“Ormai io conto ben poco. Ho fatto divertire Matteo per tanto tempo, quando era piccolo, ma adesso preferisce altri giocattoli…”
“Ma che è?! Una scenata di gelosia?” – lo interrompe il videotelefonino parlante
“Zitto, Drin drin… e fai poco lo spiritoso… sei passato di moda anche tu….”, interviene la Papera carillon
“Ha parlato lei…giusto un carillon potevi essere….fai sempre la lagna…”
“Perché, scusa? Tu pensi di emettere ogni giorno un suono nuovo?”
Silenzio in cameretta, per favore”, tuona il gufo, “Vai avanti, Raniero”.
“Il mio cavalluccio a dondolo… non me lo ricordo quasi più… com’è fatto?”. Matteo cerca di sforzarsi, ma non gli viene in mente proprio niente.
“…Ecco, per fortuna che ogni tanto Gisella scansa il computer e mi spolvera…, prosegue Raniero, “…altrimenti immaginate voi quanta polvere raccoglierei con la mia criniera…”
“Insomma, vieni al dunque: ancora non hai detto niente. Di certo non ho tempo da perdere, io”, sbotta la Clessidra magica.
“La proposta, dunque”, suggerisce il Muletto a frizione
“Io propongo uno sciopero collettivo di una settimana”
“Che cosa?!”
“Uno sciopero?”
“Ma che vuol dire?!”
“Vuol dire, spiega Raniero, che per sette giorni resteremo tutti fermi e in silenzio”. Poi, rivolgendosi direttamente alle oche gemelle aggiunge:
“In silenzio, capito? Zitte.”
“Maleducato!”, rispondono in coro le sorelle.
I giocattoli sembrano impazziti: la Ruspa per l’emozione ha tirato addirittura su il braccio. E il Trattore radiocomandato, per darle manforte, è avanzato di dieci centimetri.
Persino il Sudoku per i piccoli è sobbalzato.
Per fortuna ci pensa il Leone di pezza: con un ruggito riporta l’ordine.
“Spiegati meglio, Raniero”, invita il Gufo
Il Cavalluccio dà un colpo di reni.
“Molti di voi ancora non se ne rendono conto, si guarda intorno: per la maggior parte siete nuovi di zecca, in alcuni casi appena arrivati.
Il problema è uno solo: ogni anno diventiamo più numerosi. E ogni anno valiamo di meno”.
“Scusa, non capisco: perché valiamo di meno?”, chiede il Gioco dell’oca.
Il Cavalluccio sospira. “Per il semplice fatto che ci viene data poca importanza. Ma non parlo solo degli anziani, come me. Riflettete: è vero o no che ogni volta che Matteo riceve un nuovo giocattolo, non fa in tempo a scartarlo che già annuncia quel che vorrebbe in futuro?
Siate onesti: con quanti di voi, ultimi arrivati, ha giocato per più di una settimana?”
Nella cameretta scende un profondo silenzio. Forse è per via del buio, forse perché è molto stanco. Ma Matteo ha sempre più freddo. I giocattoli stanno tutti zitti.
“Tra l’altro – rompe il silenzio la Palla – ora che mi ci fai pensare, qui comincia a mancare lo spazio vitale. Che bei tempi quelli in cui rotolavo da un lato all’altro della stanza”.
“Eh già…anche io stavo sempre sparpagliato per terra, libero e felice. Adesso invece, sempre chiuso in questa scatola….”si rammarica il Lego…
“E ti lamenti? Almeno tu stai al caldo…io che cosa dovrei dire che mi mettono sempre in balcone?”, esclama il Triciclo.
“Tutti ammassati in questi contenitori di Ikea, tutti stretti, appiccicati come sardine… – il Leone ha un sussulto d’orgoglio – senza nessuna dignità, senza nessun rispetto…io che sono il re della savana buttato qua dentro come l’ultimo rifiuto….”
“Dillo a me, che mi hanno anche separato da mia moglie – replica il joystick – io qui e la mia Consolle di là…immaginate voi quanto mi stia usando Matteo…
Adesso la stanza è tutto un bisbiglìo.
Il Gufo guarda il Cavalluccio e gli strizza l’occhio giallo.
“E quindi – conclude Raniero – tutti noi diventiamo ogni giorno più inutili”.
Fa una lunga pausa, scuote la testa e la sua criniera spelacchiata si agita. “Ecco perché – riprende – io propongo di fare uno sciopero collettivo”
“Oddio mi gira la testa!”, esclama la Trottola con fastidio
“E certo! Saranno almeno quattro anni che non ti muovi…”, le fa eco Biancaneve galleggiante
“Parla lei: eri nata per farti il bagno con Matteo e sei finita a essere un soprammobile scolorito”
“Zitte, oche”, ammonisce il gufo
“E no, eh. Oca sono io. Se adesso volete togliermi anche questa certezza…”, si risente il peluche Matilda, “A questo punto regalatemi, fate prima”.
Un rumore improvviso interrompe la riunione. Di colpo, tutti zitti. Nella cameretta filtra una luce tenue: i genitori di Matteo stanno andando a dormire. C’è tensione tra i giocattoli.
Passa qualche minuto. Sembrano ore, perché al buio e in silenzio tutto sembra diverso da quel che è.
“Giorgio rimarrà senza parole quando gli racconterò quello che sto ascoltando” – Matteo già immagina la faccia del suo amichetto…
Ritorna il silenzio.
“Pericolo passato” – tranquillizza il Gufo – “ Si prosegua!”
D’un tratto si sente un grido
“Ahiahiahi… che dolore… mi sento male”. È Genius, il robot.
“Che succede, che ti senti?” chiedono le Marionette
“Non lo so. Sento un dolore fortissimo…”
“Dove, in che punto?”, domanda Raniero
“Qui, alla valvola che ho sotto il braccio…”
“Oddio, aiutatelo!”, grida la trottola
“E che cosa possiamo fare?!”
“Aiutoooooo!” Genius urla dal dolore. Sta davvero male. La luce che ha sulla fronte si accende e si spegne.
“Non voglio essere pessimista – dice il gufo – ma secondo me…”
“Non pensarlo neppure”, lo rimprovera Raniero. E poi rivolgendosi a Genius: “Cerca di stare calmo, adesso passerà”
“Un altro gioco da buttare”, sentenzia il Gufo
“Gufo!! Non dire così!”, lo rimprovera la palla
“Hai ragione, mi correggo: un altro gioco che verrà buttato là senza che nessuno si accorga che è rotto: perché questa è la fine di tutti noi. Guardiamo in faccia la realtà, amici. Un giorno finiremo tutti dentro a un grande scatolone. Destinazione: soffitta o spazzatura”
Matteo ascolta impietrito.
“Mamma mia che storia, questa!”
Abbassa poco poco la coperta e gira leggermente la testa: con la coda dell’occhio riesce a vedere Genius. “Che emozione quando me l’hanno regalato… era il Natale di due anni fa…”. Matteo aveva scartato il pacco e dentro c’era proprio quel robot…lo aveva visto nelle pubblicità televisive e lo aveva chiesto per Natale… “Neanche mi ricordavo di quelle luci sulla fronte… da quanto tempo non ci gioco…”
“Magari è un guasto. Forse per via della polvere…perché non lo facciamo aggiustare?”
Silenzio.
Tutti i giocattoli si guardano con sospetto: chi ha parlato? Da dove viene questa voce?
“Chi va là?”, chiede il leone
“Sono Jeffrey, l’Orsetto morbidone. Sono arrivato l’anno scorso: Matteo mi ha vinto durante la pesca scolastica”…
“Ah…capirai….”, sghignazza l’ape appesa al soffitto
“Quindi non ti hanno comprato….” , il Leone è curioso
“No”, risponde Jeffrey
“Scusa, ma dove sei? Da dove parli?”
”Sono nascosto dietro alla tv da oltre un anno: Matteo mi ha riportato a casa e mi ha sbattuto qui”
“Ma sei sicuro che desiderava vincere te?”, incalza il leone
“Credo di no. Anzi, sicuramente no. Voleva l’automobilina”.
“Molto ma molto facile”, concorda il Guantone da baseball
“Ma come si fa a partecipare a una pesca?”, chiede la Clessidra magica
“Bisogna essere un giocattolo usato”, risponde Jeffrey.
Tutti i giochi più giovani bisbigliano tra loro
“usato…” “Che vergogna…” “Usato da chi, poi?” “E se ha qualche malattia, con tutto quello che si sente oggi…” “E se ci contagia?” “Ma che lo ha riportato a fare tra noi?”
“Non solo. Oltre che usato, per molto tempo sono stato anche rotto…Ma vi assicuro che adesso sto alla grande”, va avanti Jeffrey
Di nuovo silenzio.
Matteo è attentissimo: ricorda bene il giorno della pesca. “Tutti i miei amichetti avevano vinto regali da maschio e io quell’orsetto lì”.
Tra i giocattoli è calato un silenzio di tomba.
“Rotto?! E come fai a essere ancora in vita?”, le Oche gemelle non si danno pace
“Già! Com’è possibile?”, gli fanno eco gli altri
“Perché non ti hanno buttato via?” chiede una macchinina da dietro una cornice
Jeffrey è contento.
“Beh, i motivi sono tanti. Ma uno dei più importanti è che io sono stato fabbricato e venduto in India, un posto lontano dove i bambini non sono fortunati come quelli che abitano qui.
“In India chi ha un orsetto come me ha un tesoro. E di certo non lo getta via se gli si stacca un occhio o se gli si strappa un orecchio….”
“Ah no? E che si fa?”, chiede il cavalluccio a dondolo
Jeffrey aspetta un momento prima di rispondere. Sa che quello che sta per dire verrà giudicato in modo strano.
“Si porta alla Clinica dei giocattoli…”
“Oddio! In ospedale…”
“Che paura!”
“Dottori? Ho capito bene?”
“Per carità! Preferisco mille volte essere dimenticata che finire in ospedale!
“Silenzioooooooooo!” – ruggisce il Leone – “qui manca completamente il senso della disciplina!”
Poi, rivolgendosi a Jeffrey: “Vai avanti, Peluche”.
“…Ecco, io mi ero rotto un braccio. Ma al bambino con cui ero cresciuto è dispiaciuto talmente tanto che aveva smesso di mangiare.
Io e lui avevamo dormito insieme per nove anni. E di giorno, mi portava sempre con sé: ovunque andasse, mi teneva per mano. Finché un giorno la mia stoffa, consumata, ha ceduto”.
“Ma perché stava sempre con te? E gli altri giocattoli non ci rimanevano male?”, chiede lo yo-yo.
“Ma Debu, il mio bambino, non aveva altri giocattoli: aveva solo me”.
“Solo te?”
“Solo un giocattolo”?
“Sì, solo un giocattolo”.
Matteo è attentissimo. “Un solo giocattolo… com’è possibile… io ogni tanto ne desidero uno diverso…”
Jeffrey prosegue: “Ci sono anche bambini che non ne hanno neppure uno, di giocattolo”.
“Adesso non esagerare”, dice la trottola
“E quindi che cosa è successo quando ti sei rotto il braccio?”, il Gufo s’è incuriosito.
“Debu mi ha portato alla Clinica. A Calcutta, dove abitavamo, c’è un posto in cui riparano i giochi rotti, vecchi o solo sporchi. E te li restituiscono come nuovi….”
“Beh, nuovi è una parola grossa”, interviene la Parrucca da clown.
“Spiegano ai bambini dov’è il guasto, qual è il problema. E poi aggiustano il gioco”
“Pensa se entrassero in questa stanza”, commentano gli occhiali a molle….
“Non saprebbero dove mettere le mani”, sentenzia il Gufo
“Siamo tutti mezzi rotti”
“Lo credo, abbandonati qua per anni…”
“Secondo me Matteo neanche si ricorda di te”, dice il Modellino della moto a un pupazzetto poggiato a un angolo.
“Pensa per te, vanitosa”, interviene il Boccino “Solo perché stai sempre in mostra non significa che conti qualcosa: hai più polvere tu sul serbatoio che Raniero tra i capelli…”
“Maleducato”, replica la moto “Pensa piuttosto a ritrovare la tua famiglia che nella valigetta a rete sei rimasto solo te…le altre bocce sono tutte andate perse….”
“Certo, mica me lo aspettavo che i giocattoli ci tenessero tanto a essere considerati da me… Io non mi sono mai preso tanta cura di loro…”
Con la coda dell’occhio dà un’altra rapida occhiata a Genius: è rimasto a terra, sdraiato su un lato.
“Amici, adesso basta. Si è fatto davvero tardi”, il gufo richiama tutti all’ordine… Poi, rivolgendosi all’orsetto indiano: “Jeffrey, concludi il tuo intervento”.
“Grazie, gufo. Ecco, io propongo di far comprendere a Matteo che deve aver più cura di noi…”
“Perché, scusa: io che cosa volevo ottenere, secondo te? – lo interrompe Raniero un po’ risentito
“Lo sciopero, cavalluccio, non è giusto – Jeffrey alza un po’ la voce, cerca di farsi sentire da tutti – “Matteo ci rimarrà male quando non potrà giocare con nessuno di noi.
“Perché, orsetto, noi come ci rimaniamo quando lui per mesi e per anni ci dimentica senza ragione?” esplode lo yo-yo
“Già! Sono d’accordo!”, incalza l’uomo ragno. Ma Jeffrey non si arrende: “Matteo non deve essere punito: è un bambino. E come tutti i bambini deve imparare”. Fa una lunga pausa, si guarda intorno. “In questo caso – riprende – deve imparare a osservarci, ogni tanto. A fermarsi, a prendere in mano uno di noi”.
“Così si accorgerebbe anche se qualcuno sta male o ha le pile scariche…”…commenta la ruspa
“Ma sì! Jeffrey ha ragione! Io sarei il gioco più felice della terra se ogni tanto Matteo si fermasse davanti a me e mi facesse girare”, balbetta la trottola emozionata
“Dillo a me…mi ha usato per tre settimane”, il monopattino ha il tono risentito: “Poi è caduto, s’è messo paura e mi ha poggiato qui, sull’armadio”.
“Sì, è vero. Magari facciamo tanti sforzi e quando meno te l’aspetti arriva un intruso all’ultima moda”, sbuffa il trenino
“A me piace l’idea di Jeffrey – grida la tombola – ma come facciamo a fargli capire che deve dare importanza a quello che ha?”
“Dobbiamo fare in modo che osservi e che rifletta – spiega l’orsetto – non è semplice, ma se non proviamo…”
“Allora, passiamo alle votazioni…” il Gufo rimette ordine nella cameretta…
“Sono davvero stanco, ma uffa adesso arriva il bello…chissà che cosa si inventeranno per….”
Matteo chiude gli occhi, il cuscino è morbido e dopo poco le voci dei suoi giocattoli gli arrivano sempre più leggere, lontane… fino a quando non sente più niente.
IL GIORNO DOPO…
“In piedi, signorino. Sono le sette passate. Non hai sentito che ti ho chiamato almeno cinque volte?”
Matteo apre gli occhi con difficoltà. La testa gli fa un po’ male, come se avesse dormito poco.
Si siede sul letto.
Solleva solo una palpebra: tutto come al solito. Si mette in ginocchio e poi si piega in avanti. Sbircia sotto alla scrivania: il pc sta al suo posto e dietro si intravede la criniera di Rinaldo. Ma non è che è diventato matto per davvero?
Continua a guardarsi intorno: il pinocchio è sempre lì, le gambe divaricate e le braccia piegate. La tombola dentro la scatola. Il Sudoku per piccoli anche. Il leone eccolo là, nella contenitore di Ikea: con il muso schiacciato dalla retina. Eppure lui ne era certo: durante l’assemblea i giochi si erano mossi. La trottola, poi! Girava come una matta. E il triciclo? Sono anni che sta in balcone: ieri era qui, vicino al letto.
Adesso sì che ha paura. Ecco, questa secondo lui è la paura. Che non te lo spieghi, ma senti freddo all’improvviso. Che vuoi scendere dal letto ma ti infileresti di nuovo sotto le coperte. Che vuoi chiudere gli occhi.
Forse ha sognato tutto. Ma sì, è così. Sicuramente. Forse gli era rimasto impresso quel discorso che aveva fatto la maestra di geografia quando ieri in classe aveva raccontato che i bambini in India sono poveri poveri e che a Calcutta c’è un posto grande che si chiama Teddy Bear Clinic dove aggiustano i pupazzi.
“Matteo! Non ti chiamo più” La voce della mamma è quasi arrabbiata “Farai tardi a scuola…”
“Eccomi, eccomi”, risponde Matteo. Solleva la coperta, si gira e continuando a guardare avanti allunga i piedi per cercare le pantofole. Una la trova, infilata. Apre meglio gli occhi, guarda davanti a sé. Poggiato con la schiena al televisore c’è quell’orsetto con le toppe che aveva vinto a scuola, durante la pesca. È seduto lì, davanti alla tv… Lo guarda. Forse ce l’avrà messo Gisella…
Sta per infilare l’altra pantofola, ma sotto al piede sente qualcosa di freddo e duro. Abbassa lo sguardo e…
“Genius!”, esclama.
Per terra c’è il robot. Sdraiato su un lato. Matteo si china, lo raccoglie e si ferma a osservarlo.
Sente il cuore che gli batte forte forte.
“Chi crederà a questa storia?”
Respira. Si guarda intorno: la sua cameretta, i suoi giochi.
Il suo piccolo mondo segreto.
Oggi non gli va proprio di andare a scuola.
Abbassa lo sguardo: tra le sue braccia c’è Genius.
All’improvviso gli viene un’idea. Si tira su, poggia il robot sul letto. Va verso il suo salvadanaio a forma di casetta. Non è di quelli che si debbono rompere, è di legno. Per tirare fuori gli spiccioli basta rovesciarla, alzare lo sportellino e farli uscire dal foro.
La chiavetta l’ha persa da tempo, ormai.
“Oggi pomeriggio porto Genius al negozio di Antonio. Così vediamo che mi dice, magari lo aggiusta subito. Antonio sistema tutto”
Conta i soldini sparsi sul pavimento: “Chissà se bastano…”
Adesso però si deve muovere davvero: è tardi.
Sposta Genius dal letto, lo poggia sulla scrivania e va verso la cucina. Ha poco
tempo per fare colazione, e non vuole fare arrabbiare la mamma.
Sta per uscire dalla cameretta ma ha una strana sensazione:
“Che cosa succede?” Si sente osservato…
Si gira e vede Jeffrey. Torna indietro e si ferma davanti all’orsetto.
“Non è stato un sogno, vero?”
Jeffrey sta zitto. Ha lo sguardo fisso nel vuoto.
Matteo si avvicina. Gli alza il braccio sinistro e osserva con attenzione: intorno alla spalla di Jeffrey c’è una cucitura fina fina. E c’è un rammendo. Realizzato con un pezzetto di stoffa diverso che unisce il braccio al torace…
“Grande Jeffrey, e pensare che all’inizio non mi piacevi…”
Matteo gli riabbassa il braccio, gli fa un buffetto sulla guancia e se ne va in cucina.
E Jeffrey senza muoversi di un millimetro fa l’occhiolino a tutti i giochi che abitano nella cameretta.
Ma questo è un segreto che Matteo non saprà mai.
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