La notizia è che l’Italia ha perso un’occasione per un esame di coscienza. Si è tolta, con le proprie mani, la possibilità di guardarsi in faccia senza veli e senza trucco e di vedersi per quel che è: una “Girlfriend in a coma“. Non finita, non spacciata, ancora con qualche speranza, quindi, ma sul precipizio e quindi in dovere di darsi una mossa e di riprendere coscienza.
La scelta del Maxxi, di proibire la proiezione del documentario sul declino dell’Italia firmato dal britannico Bill Emmott e da Annalisa Piras con motivazioni che sanno di burocratico è tipica di chi non vuole guardare la realtà per quello che è e di chi non accetta le critiche.
Il resto è chiacchiera mascherata da “rigore istituzionale”, “tutela pre-elettorale”, cautela da pre-voto. Sciocchezze, pretesti. Come se qualcuno, in campagna elettorale, potesse proibire agli italiani di vedere in streaming film critici o antigovernativi. Il che, peraltro, la dice lunga sulle ampie vedute di chi gestisce enti, fondazioni, strutture che si definiscono culturali.
La verità è che il lavoro dell’ex direttore dell’Economist Bill Emmott, che su La Stampa si definisce “attonito” per questo rifiuto, ritrae la paralisi italiana attraverso molte voci diverse e fa emergere un declino progressivo del nostro paese. Ma soprattutto è vero che porsi davanti alla realtà nuda e cruda richiede una grandezza d’animo e un coraggio che al momento sono merce rara. Essere in grado di non mettere la testa sotto alla sabbia, essere obiettivi, essere pronti a fare mea culpa: questo denota la cifra di un popolo. Ma che cosa avremmo detto noi se la Liberia avesse censurato un docufilm italiano sul traffico dei diamanti o sulla protesta delle donne capeggiata da Leymah Gbowee? Avremmo gridato allo scandalo, alla dittatura, vergogna… Qui no. Tutti zitti. Consenzienti.
Eppure censurare, questo è il verbo esatto, un film di giornalismo investigativo che punta una luce sul futuro degli italiani ancor prima che sul loro presente e sul loro passato significa voler tapparsi gli occhi.
Illudersi. Anzitutto, che questo declino non ci sia. Invece c’è, eccome. E si manifesta in tutti i campi culturali (editoriali, televisivi…), sociali ed economici. Voler ostinarsi a non far sapere, a non far vedere significa non voler migliorare. Anche banalmente, in nome della regina delle verità: si può imparare solo dagli altri. Ma bisogna che gli altri possano dircelo. E invece noi li zittiamo. Li rifiutiamo. Loro e le loro critiche: Andate via, diciamo, non vogliamo sentire quel che di vero avete da dirci. Perché ci infastidisce.
Bellissimo esempio, non c’è che dire.
Intanto mentre il giornalista si è appellato al Foreign Office britannico e all’Ambasciata inglese in Italia, si moltiplicano le voci – anche via Internet – di chi chiede la proiezione.
Resta un fatto, e questo è il solo: un Paese adulto è contento e fiero di ospitare un docufilm che possa aiutarlo a uscire da un momento di impasse. L’Italia ha preferito oscurare: se il problema non si vede, il problema non c’è. Abbiamo detto no, abbiamo rifiutato un regalo. E se un regalo è sempre un atto d’amore, non solo siamo stati ingrati. Ma abbiamo dimostrato all’Europa e al mondo intero che dall’estero ci amano più di quanto non sappiamo amarci noi.
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