Non mi era mai capitato, finora, di anticipare via blog qualche mio lavoro realizzato per la televisione. Ma se le eccezioni esistono, questa è una di quelle. Perché è necessario. E perché in ballo c’è molto.
Ho conosciuto Giovanni, Marco, Ciro, Nunzio e tutti gli altri per caso. Ma non per caso ho deciso poi di raccontare quello che fanno e chi sono. Soprattutto, non per caso oggi dico che la realtà che hanno messo in piedi, e che io ho tastato con mano attraverso l’esperienza diretta, è qualcosa di cui non si può fare a meno. Non a Barra, uno dei quartieri più disagiati e sensibili di Napoli.
Succede che qui, in questo spicchio di mondo dove la lingua italiana conosciuta e praticata è ancora un’ipotesi di lavoro, dove la disoccupazione è a livelli impensabili, così come pure le alternative a una vita legale, dove sai che da dietro le finestre anche se non vedi nessuno, qualcuno c’è; succede che qui ci sia chi ha deciso di prendersi in carico tutti i ragazzini che dopo la scuola finirebbero preda facile della strada e dei suoi rischi. Con gli strumenti del circo e della pedagogia sociale. Cioè con i trampoli, i nasi da clown, i piatti cinesi, il diablo….
E’ una mattina di fine ottobre e di sole quella in cui sono a Napoli per girare uno dei pezzi più necessari tra quelli che ricordo e che andrà in onda Sabato 24 novembre in tarda serata all’interno della rubrica del TG2 Dossier Storie.
Arrivo a Barra che è il primo pomeriggio.
Barra è il quartiere che insieme a Scampia e a San Giovanni a Teduccio forma quello che viene definito Il triangolo della morte, ed è un posto in cui vale la pena andare, almeno una volta nella vita per vedere quanti volti ha l’Italia e considerare che anche questa porzione di terra è una delle tante facce di uno paese che fa parte dell’Europa. Dovrebbero visitarlo e frequentarlo, senza tutele e senza scorte, anche molti dei nostri politici più illustri e farci vedere poi se sono capaci a resistere al vezzo dell’essere schizzinosi.
Poche ore prima Giovanni Savino, presidente della cooperativa Cooperativa Sociale Onlus “Il Tappeto di Iqbal”, (dal bambino pakistano simbolo della lotta contro il lavoro infantile) mi aveva spiegato una realtà che non conoscevo: la pedagogia circense. Ovvero, l’arte di salvare i ragazzi dalla voragine della strada e dei suoi rischi attraverso gli strumenti del gioco e della fiducia.
“Sono ragazzi abituati a girare sui Transalp”, mi aveva spiegato Savino: “Non li convinci solo dicendo loro di venire a un centro pomeridiano con te. A loro modo, li devi sfidare”. Così i ragazzi e i bambini destinati a bighellonare in strada nei lunghi pomeriggi senza alternative vengono avvicinati. Gli si propone l’insegnamento dei trampoli o quello del mangiare il fuoco. “Che ci vuole?”, ti dicono “Ma poi cadono appena salgono sui trabiccoli…” A quel punto tendono le mani per non precipitare e sotto c’è – e per alcuni è la novità – la mano tesa di chi li sostiene e li sorregge, di chi è disposto ad aiutarli. La stretta delle mani diventa così veicolo di fiducia e attraverso un paio di trampoli si è intessuta una relazione.
L’obiettivo e il motto che tiene in piedi la cooperativa è togliere le perle ai porci. Il metodo è quello della pedagogia circense. Tutti termini che vanno compresi, leggeri come le parole che li raccontano e pesanti come pietre per i contenuti che rappresentano.
Le perle sono i ragazzi di strada, quelli a rischio e in pericolo, i porci sono quelli della malavita. Il fine è quello di sradicare le piante (le future generazioni) perché “Fisiologicamente”, spiega Giovanni, “i malavitosi di oggi moriranno. Lavoriamo adesso per non far attacchire il seme marcio sulle nuove generazioni. E per dare a questi ragazzi la vita normale che hanno tutti. Solo che qui, una vita normale è un’eccezione. E allora io vogli dargli una vita eccezionalmente normale”.
Oggi sono trenta i ragazzi e i bambini che partecipano del “Tappeto di Iqbal” e che hanno la possibilità di avere una vita eccezionalmente normale. Di più, che con questa realtà hanno l’appuntamento dopo la scuola. La consapevolezza che c’è qualcuno che li aspetta e che con loro farà i compiti e che poi insegnerà l’arte del circo.
Una scommessa vinta che ha fatto sì che la Cooperativa, di cui sono ampiamente riconosciuti e apprezzati i valori etici, educativi, pedagogici, sia divenuta punto di riferimento del Tribunale dei Minori di Napoli e dei servizi sociali territoriali di Barra anche perché gode di una stretta collaborazione con Libera e con SAVE THE CHILDREN. Per di più concorre con altre realtà analoghe a rappresentare l’Italia all’estero nei principali circuiti circensi internazionali di Pedagogia Circense. Tanto per citarne uno, nel 2012 il festival internazionale di “CircoSociale”, “Circomondo 2012” con Palestina, Brasile, Argentina.
Eppure, tutto questo non basta.
Perché oggi questa realtà di aiuto e cooperazione vera rischia di naufragare per la latitanza delle istituzioni dove ce ne sarebbe più bisogno che mai e per la miopia degli amministratori incapaci di risconoere il valore di chi – mettendo a rischio la propria pelle tutti i giorni – li sostituisce esibendo risultati tangibili.
Giovanni e chi lo aiuta fanno esattamente questo: restituiscono i valori di fiducia e la prospettive di un futuro. Tutti i giorni tolgono i bambini dalla strada e li riconsegnano al gioco. Per farlo, occupano i locali di una scuola prima gestita dalla suore francescane e i locali di una palestra in disuso.
Nel giro di un anno, lavorando con e sui ragazzi che altrimenti finirebbero con il rovinarsi la vita ed essere reclusi a Nisida, la “Cooperativa Sociale Iqbal” fa risparmiare allo Stato circa un milione e 200mila euro. Eppure si vede negare i soldi per i progetti e i locali per la sopravvivenza. Mentre leggete queste righe il futuro dei ragazzi di Giovanni Savino è a rischio perché accordi inspiegabili tra le istituzioni rischiano di dismettere i locali nei quali – ogni pomeriggio, gratuitamente – si cerca con fatica e con rischi sensibili di sfilare i più giovani dalla criminalità. Perché?
Un interrogativo ancora più forte se si considera che molti di questi ragazzi attraverso l’esperienza del circo sociale hanno imparato a conoscere il mondo, a confrontarsi con realtà altre rispetto a quella napoletana e soprattutto hanno scelto e preferito la legalità ad altre strade.
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