Ci sono due immagini che più di altre si sono impresse nella mia mente: quella dei Bronzi di Riace sdraiati su dei lettini ortopedici, e quella del cancello chiuso del museo archeologico che dovrebbe ospitarli.
Era il 14 giugno 2013, venerdì. Doveva essere una puntata sulla scuola, a tre giorni dalla maturità, dall’Invalsi, dall’esame di terza media. Si è trasformata in un racconto della cultura negata, conseguenza della scuola maltrattata, dei fondi rifiutati, delle speranze boicottate.

Nessuna chiacchiera, solo fatti: dimostrati nei collegamenti in diretta. Una specie di piccolo miracolo narrativo che dal particolare ha raggiunto l’universale, seguendo le tracce di un percorso italiano.
Nasce per questo Divieto di sosta ma nasce sotto alle spoglie di un’eresia: (ri)portare l’informazione in tv, in diretta per un’ora e mezza, senza grande clamore a spianarle la strada. Solo, tanto studio e tanto lavoro. Una scommessa da vincere perché in ballo c’è il nostro paese da raccontare con la doppia chiave, globale e locale. Una sfida che ho raccolto perché chi questo blog lo legge e lo conosce sa quanto mi interessi ricondurre a un discorso generale uno spunto singolo e quanto le mie riflessioni, sempre appassionatamente originate dalla cronaca attuale, mi portino poi a ragionamenti più ampi.
Soprattutto, però, Divieto di sosta nasce d’estate.
Nella stagione meno clemente in cui un esperimento di informazione possa venir partorito e nella porzione più delicata della giornata.
Quella che i televisivi chiamano daytime. La stessa che Matilde Serao chiamava la controra 
“(…) dopo il mezzogiorno, in cui tutti rientrano nelle case e nelle botteguccie per pranzare, in cui il caldo estivo cresce, cresce e la controra, il periodo della giornata napoletana che equivale alla siesta spagnuola comincia col cibo, col riposo, col sonno delle persone stanche (…)”*
Divieto di sosta nasce e va in onda nella controra.
Preferisco chiamarla così anche io. E non solo perché è una parola migliore, con un suono e una storia, con una musicalità che restituisce il significato profondo di un’abitudine. Ma anche perché nella sua crudezza genuina, dice la verità sul lavoro che il gruppo di cui faccio parte sta portando avanti: un lavoro controContro orario (perché la tradizione vuole che “a quell’ora, in estate, chi vuoi che ci sia davanti alla tv?”) e controcorrente (perché “chi c’è vuol leggerezza…, mica informazioni…”).
Chi l’ha detto?, ci siamo chieste.
E dopo esserci risposte: Nessuno, abbiamo deciso di lavorare sodo tutta l’estate per riportare l’informazione nella controra di Raidue.

*(da Il paese della cuccagna, Matilde Serao)

Categoria: Archivio

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