Mio marito e io abbiamo deciso che la settimana dei nostri due figli non debba fermarsi alle 13.30 del venerdì, finita la scuola, ma che prosegua ancora, fino alle 17.30 per un corso privato one to one di inglese extra.
Musi lunghi, disperazione, facce imbronciate: tutto inutile. Non sono serviti a nulla neppure i loro tentativi di impietosirci: “È fine settimana, siamo stanchi”, “Tutti chiudono i libri all’uscita di scuola e si gustano il fine settimana”; “Non ne possiamo più”… “L’inglese non è in discussione”, si sono sentiti ripetere senza il minimo cedimento, “Semmai rinunciate a qualcos’altro, se siete davvero stanchi”.
E ancora: “È indispensabile, senza saperlo parlare non andrete da nessuna parte”; “Senza capirlo sarete di serie B”; “Senza dominarlo potrete dire addio alla possibilità, un giorno, di trovare un lavoro soddisfacente”.
Come riuscire ancora a motivare i propri figli all’apprendimento dell’inglese?
Ma dopo che il sottosegretario alla Presidenza del Consiglio, Giancarlo Giorgetti, ha dimostrato non solo a tutta l’Italia ma anche a tutta l’Europa e agli Stati Uniti che si può tranquillamente raggiungere il livello socio-culturale che ha raggiunto lui senza possedere la lingua inglese, come si fa a convincere due ragazzini che chiedono solo di non fare di più rispetto al programma ministeriale?
Con quali giuste ragioni due genitori possono caricare oltre misura la loro prole di un dovere che loro (loro!) si sono imposti di dare ai figli (visto che fosse per la scuola italiana le lingue straniere si imparano con trenta ore di corso aggiuntivo)?
Con quale coraggio possiamo noi stabilire che è giusto che due scolari si affannino a cottimo e per di più su libri madrelingua?
Sconcerta, davvero sconcerta, quel che è accaduto al Council on Foreign Relations, tra i luoghi di dibattito più esclusivi per la politica estera, il serbatoio di pensiero più in vista di New York e Washington. Qui, rifiutato l’interprete, il nostro esponente politico – nostro rappresentante in quella sede – ha pronunciato un testo che Rampini ha definito “incomprensibile sia agli americani che agli italiani. Leggeva – scrive sempre Rampini – in una lingua a lui quasi sconosciuta, con una pronuncia inventata”.
Nonostante tutto… l’inglese non è in discussione
Ma il peggio è avvenuto quando nel rispondere a braccio ha rischiato di creare una crisi, per cui la diplomazia italiana ha dovuto spiegare, e rapidamente, che cosa davvero l’Italia intende fare in Libia.
Provincialismo, è stato definito. Più semplicemente è ignoranza e incapacità totale di capire il proprio ruolo. Anche perché ci vuole poco: non so l’inglese? Lo imparo, e anche bene, seppur tardivamente. Visto il ruolo che rivesto. E se non voglio farlo per me stesso, su cui evidentemente mi è interessato poco investire, tanto più devo farlo per il Paese che rappresento.
Che cosa va detto ora ai ragazzi? Ai nostri e ai tanti di quest’Italia un po’ paesana? Semplicemente quel che ha detto oggi il capo dello stato, Mattarella: “Serve studiare per fare scelte politiche. La politica è impegnativa e non vuole approssimazione”.
Un discorso che va esteso, perché non essere approssimativi dovrebbe essere una scelta etica.
Il prossimo venerdì sarà come gli altri, prolungato fino alle 17.30 perché l’inglese non è in discussione.
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