In un film gioiello del 2016 una lezione di educazione sentimentale
Piccole poesie succedono. A volte e per gioco. Quando meno te lo aspetti e neanche è detto.
E così capita che un film né blockbuster né recente si stampi in testa come le migliori commedie romantiche inglesi: tutta scrittura, poca azione, infinita ironia con una spruzzata di letteratura che non guasta mai. Unica pecca quel titolo, I nostri amanti , forse perché i film dovranno pur vendersi. Opera di Miguel Ángel Lamata del 2016 ambientato in una Saragozza dal sapore del magico mondo di Amelie, regalata per pillole e ben dosata. Una commedia delicata e gentile che riporta al centro dei rapporti l’elemento dimenticato: l’amore come gioco, come favola, come incanto magico da assaporare in un parco o in quel locale, La Bendita che è tutta la scenografia.
Un piccolo capolavoro di educazione sentimentale, un ragionamento da fare ai giovani, un percorso da cominciare nelle scuole o nelle cucine delle case: amarsi è un gioco che prevede il conoscersi. Ma non è un gioco banale. “Giochiamo?”, chiede lei a lui che rimane stupito che una sconosciuta lo avvicini con questo intento. “Mi piacciono i parchi, perché vedi i bambini avvicinarsi gli uni agli altri solo per giocare. Non si chiedono il perché, ma giocando si conoscono”. Una magia di un’ora e trenta che però vale il cambio di una visione: divertiti a giocare e se ti diverti, scoprirai di amare.
Sembra niente ma è rivoluzionario, perché parte dal concetto che una relazione deve essere in discesa e che se non ci si diverte, non si scopre più, non ci si entusiasma più, allora qualcosa va interrotto. Con soprannomi che valgono la sceneggiatura e con lo sguardo limpido della protagonista (Michelle Jenner) che non lascia scampo neppure al tenebroso Eduardo Noriega, noto per quel Tesis di Amenábar agli esordi e poi, ancora per quel Abre los ojos rivisto e (s)corretto nel remake a stelle e strisce dal nome Vanilla Sky.
Comunque, qui Noriega percorre altre strade, quelle della tenerezza debole ed empatica.
I due protagonisti si conoscono grazie all’intraprendenza di lei, Hada Chalada (Fatina dei Sogni) che non ha paura né degli estranei né dei sentimenti e che anzi, si alza e va a prendersi lui, Dueno Chiflado (Folletto folle) che ha paura di tutto e soprattutto dell’amore, sceneggiatore disilluso e con il rimpianto per le amanti che non ha mai avuto. Farsi avanti, alzarsi – fisicamente – da una comoda poltrona e andare a cercare l’altro, disturbarlo. Alla fine è questo l’amore, ci dice Lamata: prendersi la responsabilità di togliere l’altro da una solitudine comoda o da rapporti finiti. Ma attraverso il gioco, con leggerezza e soavità, con il respiro dei sorrisi spontanei e della sincerità.
Non appaiono Internet, social né cellulari, tranne uno, una volta sola (e neanche lo vediamo), come simbolo di negatività, prisma di una realtà distorta. Non è un caso.
Poesia pura, appunto. Perché piccole poesie succedono, se si ha il coraggio di osare. Anche nei titoli. In questo caso, ad esempio Giochiamo? sarebbe stato il suo.
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